2021



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Le fotografie

– Frederic Leighton, Dante in esilio, 1864, Regno Unito, collezione privata.

– Ritratto di Cesare Cantù, tratto da “La Lombardia nel secolo XVII”, Milano 1854.

– Dante Alighieri e la Divina Commedia, stampa, 1595, New York, Metropolitan Museum.

– Frederic Leighton, La Madonna di Cimabue portata in processione per le strade di Firenze, 1855, Londra, Collezione Leighton House Museum.

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L'«EUROPA NEI SECOLI DI DANTE» (Cesare Cantù)


Cesare Cantù nacque a Brivio (Lecco) il 5 dicembre 1804 e morì a Milano l’11 marzo 1895. Fu storico, politico, dal 1875 direttore dell'Archivio di Stato di Milano. Scrisse romanzi, saggi e opere monumentali, come la Storia Universale.
Nel 1865 pubblicò “L'Europa nei secoli di Dante” in occasione delle celebrazioni del VI centenario della nascita del Poeta. Nel testo esaminò la politica e cultura del medioevo oltre i confini nazionali.


Iniziò con un: “la fede fu la chiave di quell'età”, e proseguì a ricordare come accanto ad essa, nell’epoca dei re, dei baroni e degli eserciti, vi fossero forza, arbitrio e feudalità. Il papa era primo fra i vescovi e il re primo fra i capitani e gli eserciti. E tuttavia, con le esortazioni: “la Chiesa prevaleva, e alla monarchia concedeva la sua consacrazione”.
L’età fu anche “zotica, cruda di parole” – afferma. La feudalità portò all’indipendenza dei singoli, allo sfasciamento di ciò che era comune e, per l’uomo, alla consapevolezza di non dover aspettarsi alcuna giustizia, che nulla vi era al di fuori di personali giuramenti e promesse di fedeltà.
Ma vi fu anche chi ebbe a cuore la ricerca del vero, l’attuazione del buono. Nella crudeltà vissero “anime straziate dai rimorsi”, persone disonorate “avide di stima e d’onore”. Così intrapresero esaltanti pellegrinaggi di espiazione, fondarono ospizi di carità.
Le ingiustizie del potere alla fine non prevalsero e la società non fu abbandonata. Nell’economia sociale e religiosa non rimasero “sconnessi” il legame misterioso “che nell’eternità stringe l’uomo a Dio mediante la coscienza e il legame imperioso universale che nel tempo sottomette a un imperio esteriore”. Dell’autorità rimase espressione la Cristianità e gli scritti di Dante ne riprodussero perfettamente la condizione.

“Come chi vede e molto sente, egli apparteneva ai malcontenti”, scrive Cantù, e quindi molto biasimava, condannava, rimbrottava anche quegli esponenti della Chiesa che “esorbitavano” nella lotte senza quartiere del secolo XIV.
E ricorda quando Innocenzo IV diceva a San Tommaso: “Vedete che non siamo più ai tempi che San Pietro esclamava: Non ho oro, né argento”. E il santo gli rispondeva: “Ma non è neppure il tempo che San Pietro intimava allo storpio: In nome di Cristo alzati e cammina”, ad ammonire che nessuno si poteva giustificare con lo spirito dell’epoca.
I papi infatti erano entrati nella politica per interessi e passione: Clemente IV offrì “Sicilia ai Provenzali per sottrarla agli Svevi”; Niccolò III ideò di dividere “l’impero in quattro regni ereditari: la Germania pei figlioli di Rodolfo d’Austria; il regno di Arles per Carlo Martello; la Lombardia e la Toscana a due Orsini suoi nipoti”.

E di questi maneggi Dante si dolse e scrisse sul mondo sottosopra perché Roma confondeva “in sé due reggimenti”.

Il Poeta avvertì però anche come lo stesso impero fosse degenerato per aver voluto unire l’Italia alla Germania e rendere ereditaria una dignità. Federico II di Svevia aveva chiarito “come non potesse allora primeggiare nel mondo chi non avea cura dell’anima sua” ... ma dopo di lui la sua famiglia andò sterminata e cominciarono il grande interregno e la disgregazione.
In Europa si consolidarono i principati e in Italia le Signorie si surrogarono ai Comuni. Vi furono guerre di potenti dappertutto. Dante, osservando il triste spettacolo, “fantasticò quella pace universale” e la monarchia “necessaria al bene del mondo”.
Ma le contese “della spada col pastorale, de’ Comuni co’ principi, de’ guelfi e de’ ghibellini sotto qualsiasi nome” non furono solo fatti dell’Italia: furono “condizioni generali dell’Europa, in uno di que’ periodi critici in cui, l’autorità rimanendo debolissima, grandeggiano gli uomini, come vediamo in Dante, che ne era testimonio, vittima e storico”.

Allo stesso modo anche l’ampliarsi “delle scienze e il rinnovarsi delle arti belle e delle lettere” furono un fatto “generalissimo”.
Cantù ricorda Tommaso d’Aquino il dottor angelico (Fossanova, 1274), Duns Scoto il dottor sottile (Colonia, 1308), Bonaventura da Bagnoregio il dottor serafico (Lione 1274), Egidio Colonna il dottor fondatissimo (1316), Ruggero Bacone il dottor ammirabile (Oxford 1292), e ancora Pietro d’Albano, Taddeo Alderotti, Simone di Cordo, Lanfranco da Milano, Cecco d’Ascoli che associarono la filosofia alla medicina per “infrangere anche alla morte il telo” (Vincenzo Monti).
Cita poi i primi compendi dell’erudizione di Vincenzo di Beauvais (Royaumont, 1264) che aveva composta una specie di enciclopedia, lo Speculum maius, cui tenne dietro il Tesoretto di Brunetto Latini (“M’insegnavate come l’uom s’etterna”, scrisse Dante).
Ma i movimenti e le novità dei concetti originarono anche tante e tante di quelle speculazioni, e di ogni tipo, che Stefano vescovo di Tournay (1203) scrisse a Celestino III († 1198): “Oggi vì è tanti scandali quanti scritti, tante bestemmie quante pubbliche discussioni e tra la confusione delle scuole pare non si pensi che a proporre quistioni stravaganti, a rischio di non saperle risolvere”. Da qui, per opporsi “al libertinaggio del ragionamento”, l’Inquisizione ...

In altri campi, come le letteratura, il mondo ebbe sempre dei maestri. Cantù cita la Persia con il poeta Saadi († 1291), Aladino Atta Mulk storico dei Mongoli († 1283) e l'arabo Ibn Kaldun († 1406) a Tunisi.
Ricorda come in Europa si studiassero l'arabo e l'ebraico al pari del greco. Riguardo alle lingue germaniche scrive che la poesia tedesca fosse rappresentata dai canti dei Minnesaenger e di altri poeti lirici, mentre le lingue romanze di oc e oil, nel secolo XIII si espressero il Romanzo della Rosa; e in Spagna furoreggiassero le imprese del Cid (sec. XII) e l' Amadigi (prima metà del secolo XIV) fosse diventato lettura comune.
La storia in Europa ebbe alimento dalle opere di Jean de Joinville († 1317) e in Italia fecero eco Dino Compagni († Firenze 1324) e Giovanni Villani († Firenze 1348).

Infine le grandi opere architettoniche: Dante visse i tempi della costruzione del Duomo di Orvieto (1290), della facciata del duomo di Siena (1284), di Orsanmichele a Firenze (circa 1290) … e dei “pisani che vollero un cimitero empito colla terra di Palestina per dormire in patria ma in terra santa”.
Nel continente erano già avanzati il duomo di Colonia (1248), le cattedrali di Ulma e di Spira, e quella di Strasburgo (1277); in Francia la Santa Cappella ricopriva in finissimi lavori le reliquie che san Luigi aveva raccolte in Palestina (1241); la cattedrale di Amiens era finita nel 1288 ...
“Aggiungete – scrive Cantù – gli insuperabili monumenti d'Inghilterra, e non facciamo che accennare le meraviglie moresche della Spagna, e l'innesto di queste col normando nella Sicilia …”.
Insomma “non era dunque l'Europa d'allora un gran deserto, una cupa notte nella quale splendesse solo il nostro Poeta”. Tutt’altro.

Il dotto scrittore di Brivio conclude con la “legge del progresso”. Forse la accosta al pensiero di Dante con un po’ di azzardo. Scrive:
“Dante guardandosi attorno, ammira tutto ciò, e internamente vede formarsi la classe media, menando i proletari a conquistare l'eguaglianza, la libertà di coscienza, di intelligenza, di lavoro; costituirsi fraternite d'arti e mestieri; l'esistenza divenire più agiata, più onorevole e morale; la Bibbia tradursi nei nuovi vulgari; le allegorie interpretarsi; il clero, riformato da' due grand'Ordini mendicanti [Francescani e Domenicani], aspirare a dottrina e santità, i nobili a cavalleresche onoranze, le plebi a franchigie e libertà d'industria ...” e così via.

Forse le visioni di Cantù non corrisposero perfettamente a quelle del Poeta, ma seicento anni dopo lo spirito che aveva animato il medioevo e la sua grande spinta culturale era perduto e si poteva pure caricarlo con entusiasmo anche di qualche concetto moderno, derivato da lotte e sofferenze che meriterebbero altri complessi studi.

Paola Ircani Menichini, 24 aprile 2021.
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